Lupi, pecore e cani

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cero
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Lupi, pecore e cani

Messaggio da cero » 22 gen 2013, 19:57

Realtà, leggende,fatti veri romanzati..chissà!! Li trovo comunque affascinanti..buona lettura!



UNA STORIA D'ALTRI TEMPI

Zio Teofildo, che vive in Toscana e precisamente a Prato, quando torna in Abruzzo ed abbiamo modo di vederci in compagnia d'un buon bicchiere di vin santo accompagnato dai tradizionali cantucci, cose che lui immancabilmente porta quando viene a trovarci, spesso mi racconta di quando era ragazzo e viveva ancora in paese. Lultima volta che venuto, l'estate scorsa, eravamo seduti nel giardino da mio padre e proprio a causa della mia passione per i cani pastori abruzzesi, mi ha raccontato di Mozzone. Zio Teofildo originario di S.Benedetto di Bagno, una paesino nella periferia dell'Aquila. Una delle cose che ricorda con maggiore piacere della sua infanzia la presenza nel suo paese natio di quel gigante bianco, un cane da pecora di nome Mozzone. Un tempo - s'inserisce nel discorso mio padre - in paese cera iu pequerare . Cioè il pecoraio inteso come colui che radunava le pecore di tutto il paese dei diversi piccoli proprietari per portarle insieme al pascolo. Quando mio padre fa questa precisazione non manca mai di aggiungere: Ohh, quando la sera il pecoraio faceva rientro al paese, dovevi vedere come ogni pecora rientrava da se nel proprio ovile . E quando qualche volta capitava che qualcuna si faceva confondere, il padroncino ospitante la restituiva al proprietario (a quell'epoca le pecore si conoscevano una ad una), sfottendolo nel dirgli di avere delle pecore poco intelligenti. Ma torniamo a Mozzone ed il racconto di zio Teofildo . Lui si ricorda bene di questo cane perchè era enorme, molto pi grosso di tutti gli altri cani. E vero che nei racconti, pi passano gli anni e pi aumentano le dimensioni delle cose in essi narrate ma zio ricorda benissimo che sulla groppa di Mozzone prendevano posto comodamente tre bambini in età prescolastica. Infatti fu una delle pi grandi emozioni da lui vissute in tenera età, il giretto concessogli da Gaetano il pecoraio a cavallo di Mozzone fino alluscita del paese. Sicuramente era un cane che oggi a fatica sarebbe rientrato nei canoni stabiliti dallattuale standard ma altrettanto difficile immaginare che un cane di oggi avrebbe potuto compiere le imprese di Mozzone. - Ormai zio era già più grandicello e andava alla scuola elementare quando Mozzone ancora aitante faceva il suo lavoro. Era un inverno di quelli veramente d'un tempo. Mio padre, intervenendo puntualmente, racconta che dovettero scavare delle vere e proprie gallerie per andare da una casa all'altra o fino alla stalla. Con gli occhi ridenti come quelli di un bambino aggiunge: ci facevamo gli sci con le doghe delle botti; con quelle s che necessitava dell'equilibrio per sciare. Nonno Ughetto ( suo padre ) un giorno mi riportò delle tavole di rovere ben affilate - io gli curvai le punte in su nell'acqua bollente. Erano un vero lusso allora. Fulvietto, continua mio padre, andava a scuola con gli sci scendendo per l'aia vecchia e portava un cappello di montone rovesciato con i copri orecchi, come vanno ancora oggi, ma non l'allacciava mai. A forza di sobbalzare, i copri orecchi svolazzavano che sembrava vedere un cane da caccia che rincorre la preda. - E tutti e tre ci facciamo una bella risata. Questi incisi di mio padre, anche se spezzavano un po' la continuità del racconto di Mozzone, permettevano a zio Teolfido e me di gustarci un po' di cantucci intrisi nel vin santo. - Quando gli inverni erano particolarmente lunghi e rigidi, prosegue zio, anche i lupi, allora ancora molto schivi e con una notevole paura dell'uomo, dovevano spingersi fino nei paesi per trovare del cibo. Sia zio che papà, sembrerebbe con ancora un pizzico di timore, raccontano che non poche volte nella notte udirono, accovacciati nei loro lettini di paglia, gli ululati dei lupi non lontani dal paese. Una notte in particolare, zio ricorda che udì dei ringhi e dei guaiti come quelli di cani lottano tra loro. Sembrava una lotta interminabile. Succedeva spesso perchè i cani si contendevano quel poco di cibo a loro concesso. Veramente a quel tempo un osso o un pezzo di pane secco poteva costituire motivo di lotta a vita o morte. Ma quella notte sembrava dovesse trattarsi duna lotta particolarmente feroce e anche scorgendo attraverso la piccola finestrella con il vetro reso opaco dal gelo, che dalla sua stanza si affacciava in strada, non riusciva a vedere nulla. Non riuscì a riposare molto quella notte perchè aveva paura che potesse accadere qualcosa a Mozzone. Certo non aveva nulla da temere dagli altri cani del paese ma succedeva di tanto in tanto che qualche cane troppo coraggioso veniva ucciso dai lupi nel tentativo di difendere la sua proprietà. Era gi da un po' di notti che si avvertiva la presenza dei lupi nelle vicinanze ed i timori di mio zio non erano affatto infondati, essendo Mozzone un cane molto coraggioso che non si sarebbe di certo tirato indietro di fronte agli attacchi dei lupi. - Essendosi addormentato che era quasi mattino, zio Teofildo era caduto in un sonno profondo che non riusciva proprio a svegliarsi e neanche gli urli disperati della mamma, che non voleva facesse tardi a scuola, riuscivano a convincerlo di abbandonare il letto, finchè non sentì uno strano e crescente vocio in strada. Sobbalzò dal letto e si affacciò vedendo un gruppo di persone attorno ad un qualcosa che sembrava un animale della grandezza di un cane, ricoperto di sangue tanto da creare un alone di neve rosa tutt'intorno . Il cuore gli batteva a mille. Forse i suoi timori si erano rivelati giusti. Si vestì in fretta e furia, senza lavarsi nè fare colazione, dimenticando persino la cartella per la scuola, si precipitò in strada con il cuore ancora in gola, sotto le grida rimproveranti della madre. Cercò di farsi largo tra la gente e quando riuscì a scorgere, tra le gambe del pecoraio, il triste spettacolo, con gli occhi gi intrisi di lacrime si rese conto che non poteva trattarsi di Mozzone. Nonostante la compassione che poteva provare per quel cane si sentì sollevato ed una sorta di felicità lo invase come un lieve tepore attraverso il suo giovane corpicino in quella gelida mattina. Ma di chi era quella povera bestia? Tra sangue, brandelli di carne e pelle lacerata non si riusciva a capire che cane fosse, anche se era una animale di rispettose dimensioni. Fu Felice, il vecchio cacciatore, a commentare a colpo d'occhio: quiss'è iu lupe. Sembrava impossibile, com'era potuto accadere? Cosa mai era successo quella notte. Non si vedeva un cane nei dintorni ed anche di Mozzone nessuna traccia. Zio Teofildo, che conosceva bene il rifugio di Mozzone, anche perchè ogni tanto gli portava qualche pezzo di lardo di nascosto (il lardo a quell'epoca era un bene prezioso), di corsa si diresse nell'angolo d'un fienile dove lo trovò disteso, stremato e pieno di ferite ma vivo. Ci pensarono zio con i suoi amici a curarlo perchè a quel punto, oltre essere il cane di tutti e soprattutto dei bambini, era diventato l'eroe del paese. Si riprese in fretta e lavorò con le pecore ancora per diversi anni. - Non so voi ma a me piacciono le storie di zio Teofildo , anche perchè hanno la giusta durata. Il tempo di una bottiglia di vin santo ed un sacchettino di cantucci.
Valle d'Ocre 10.11.01


UNA STORIA VERAMENTE VERA

Ci troviamo verso fine degli anni 50, in località Cascina della Provincia Aquilana , Antonio si trova con il suo gregge a sfruttare le ultime erbe autunnali alle pendici di alcune colline circostanti sui quali corre il confine tra Abruzzo ed il Lazio.
Tornate gi, brucando brucando, in una valletta proprio ai piedi di una collina incorniciata da un folto bosco di pini silvestri e cerri, le pecore iniziano ad ammorrarsi mentre i guardiani bianchi iniziano a mostrare uno strano nervosismo.
In lontananza , sulle alture dei Monti della Laga , gi da un po' imbiancate, sempre pi un color rosarancio invade le cime che il tramonto autunnale sostituisce al candore della neve.
Non capitava da tempo - sembravano ormai storie di altre epoche - una sagoma di quadrupede a dorsale rigida e orecchio acuto si distaccava dall'ormai nero bosco esse ju lupe.
Era solo:? Possibile .. ? Come mai ..?
I cani da pecora di Antonio da un pezzo si muovevano agitati intorno alle pecore ammorrate ed in particolare Nestore, il capo branco che ormai aveva quasi sette anni , che per un cane che lavora con le pecore non affatto poco.
Con lui cerano Sentinella, la femmina pi adulta, Nebbia e Gaspare , nati nella prima cucciolata di Sentinella e Nestore e due scattoni fratelli di un anno e mezzo circa , di cui non ricordo i nomi.
Questi ultimi provenivano da uno scambio con un pastore amico della zona di Mascioni - Campotosto che aveva dei bei cani grossi. I cacciunitti (cuccioloni) erano rimasti alla stalla insieme alle pecore prene (gravide).
Normalmente , quando si tratta di un solo lupo , difficilmente questo si espone al rischio di avvicinarsi ad un gregge custodito da sei cani. Ci nonostante continuava ad avvicinarsi lentamente.
Antonio era teso ma non preoccupato pi di tanto, convinto che ju lupe si sarebbe ritirato in buon ordine.
Nestore , con il pelo diritto e voce minacciosa , si scagliava verso il lupo fino a circa metà strada tra il gregge ed il lupo , piantando con una certa imponenza le forti e robuste zampe nel terreno. Lo seguiva a distanza Gaspare e pi indietro, timorosi, i due scattoni.
Il lupo sembrava fare due passi avanti e quattro indietro come se volesse rinunciare e tuttavia non mostrava l'intenzione di abbandono definitivo .
Solo man mano che Antonio cercava di richiamare Nestore si rendeva conto del gioco a cui stava giocando il predatore . Si stava pian piano tirando Nestore verso il limiti del bosco mentre il distacco con gli altri cani ed il gregge aumenta sempre pi .
Nestore un po per il suo carattere , un po per la concitazione , non ascoltava Antonio tanto meno si era reso conto di essere rimasto solo.
Fu proprio cos che giunto ad una ventina di metri dal bordo del bosco si lanciano altri tre lupi verso Nestore , sgusciando a sorpresa dall'oscurità della foresta, accerchiandolo in un batter d'occhio .
Ormai era fatta. Antonio disperato urla, cerca di spaventare i lupi e di aizzare gli altri cani in aiuto di Nestore ma non servì a nulla.
Nestore si difendeva come poteva dai ripetuti attacchi . Nestore un cane forte e coraggioso pesa pi di cinquanta chili ma solo . Lui ha un unico vantaggio . I predatori devono essere pi cauti per non essere feriti . Per loro una ferita pu diventare letale perchè nessuno li cura e nessuno li sfama in caso non possano pi cacciare . I predatori devono proteggere in primo luogo la loro incolumità .
I guaiti di dolore di Nestore diventavano sempre pi frequenti e laceranti . Ormai il rosso del sangue quasi prevaleva sul bianco pelo arruffato del povero martire.
Antonio non ricorda neanche come ma ad un certo punto , forse con la forza della disperazione e magari per la rabbia del dolore che lo invadeva, Nestore riuscì ad afferrare uno dei lupi ed a staccargli di netto un orecchio .
Il latrato del lupo dolorante e l'abbondante flusso di sangue che fuoriusciva dalla testa aveva messo in allarme i compagni predatori . Nestore, giunto ormai al limite delle sue forze cercava di reagire, barcollante e stremato a qualche altro timoroso tentativo d'attacco ma poi i lupi cominciarono a ritirarsi nel bosco.
Antonio era combattuto tra il sentimento di gioia perchè non era stata uccisa neanche una pecora , unica fonte di reddito per lui , e quello della disperazione per le condizioni in cui era ridotto Nestore , accasciatosi definitivamente per terra nel tentativo di raggiungere il gregge.
Antonio non sapeva cosa fare. Ormai era notte e bisognava riportare le pecore nell'ovile altrimenti l'estremo gesto di Nestore rischiava di restare vano. Ma lasciarlo morire in solitudine dopo tanto coraggio.
I lupi sarebbero potuti tornare, dandogli il colpo di grazia e divorarlo per la fame. Antonio proprio non sapeva cosa fare.
Dopo alcuni tentativi di abbracciare Nestore per portarlo a casa Antonio si deve arrendere. Quasi sessanta chili di peso morto non si portano molto lontano.
Beh! I paratori (cani conduttori meticci ) Lilla, Briciola e Sergente conoscevano bene la strada del ritorno e sapevano guidare il gregge fino a casa. Cos Antonio decise di rimanere con Nestore nelle sue ultime ore di vita.
Le notti ormai cominciavano ad essere piuttosto fredde ed umide ma Antonio era abituato anche a condizioni peggiori e così restò a lungo sveglio carezzando il capo ancora insanguinato del povero Nestore che non faceva neanche un lamento.
L'aveva appena catturato il sonno quando Antonio di soprassalto si sveglia, udendo delle voci in lontananza . Era ancora notte, mancavano un paio d'ore all'alba. Chi poteva essere?
Man mano che si avvicinarono riconobbe la voce di Peppe, suo figlio, e Domenico, fratello di Antonio. Erano usciti in cerca di Antonio vedendo rientrare il gregge da solo, temendo il peggio.
La loro gioia di trovare Antonio in ottime condizioni fu presto attutita dal racconto frenetico e straziante di quanto era accaduto.
In tre riportarono Nestore nell'ovile, vicino alle sue pecore, avvertendo subito il veterinario.
Il veterinario, dagli amici allevatori, chiamato confidenzialmente Pierluigi, dopo avere ricucito le molteplici lacerazioni (erano centinaia di punti, non si contavano), prescrisse degli antinfiammatori e degli antibiotici, senza per riporre molte speranze nella sopravvivenza di Nestore.
Ormai aveva una certa età e le ferite infertegli erano state notevoli cos come i traumi subiti.
Nestore beveva poco e mangiava niente nei giorni successivi. A forza, tutti i familiari gli colavano una poltiglia di siero di latte, pane e quant'altro in bocca, che per la maggiore andava sprecata.
Nonno Giacomino insisteva nel fargli bere un infuso di corteccia di quercia, dicendo che a lui gli aveva salvato la vita durante la guerra.
Per pi di due mesi non migliorava n peggiorava lo stato di salute di Nestore . Continuava a vegetare sdraiato quasi immobile nella stalla dove quasi tutti i bambini del paese la sera lo andavano a trovare.
Volevano confortare il cane eroe che aveva combattuto contro quattro lupi e puntualmente Antonio doveva raccontare quasi fino all'esasperazione come erano andati i fatti.
Come per miracolo, ad un certo punto, Nestore cominciava a dare segni di miglioramento e giorno dopo giorno, quando Antonio rientrava con il gregge e gli altri cani, lo trovava sempre più aitante finchè si riprese del tutto.
Ci vollero in tutto quasi sei mesi ma alla fine era tornato un vero capo branco ma non per gli altri cani maschi.
Gaspare ormai aveva quattro anni, gli scattoni di Mascioni due anni e frequenti erano le lotte per la gerarchia nel branco.Tutto pensavano a questo punto meno che portare rispetto a Nestore vecchio e malato.
Tendevano ad isolarlo, aggredendolo singolarmente, in coppia e qualche volta anche in gruppo.
Antonio aveva ormai rinunciato al pensiero di portare Nestore con se in primavera quando si sarebbe tornati in montagna e lui sembrava come averlo in qualche modo capito.
Forse sentendosi tradito per non essere stato sostenuto dagli altri maschi nella lotta contro i lupi, per averlo spodestato dal ruolo di capo branco durante la sua malattia, per averlo allontanato dalle grazie del suo padrone che lo aveva esonerato da suo lavoro, forse per ci sa quale ragione successe quello che nessuno avrebbe mai potuto immaginare. Successe quello che fece di Nestore una Leggenda pi di quanto non avesse fatto la vicenda del combattimento coi lupi.
Erano iniziati i preparativi per la monticazione e il gregge pascolava tra le ultime erbe di pianura a pochi chilometri dalla stalla.
Nestore, che era legato ad una catena nei pressi dell'ingresso della casa di Antonio per evitare che seguisse le pecore ad un certo punto sparì.
Le pecore erano sole , recintate in un piccolo stazzo, guardate dai cani e quindi solamente nel pomeriggio, verso le cinque e mezzo, Antonio tornava a prenderle per la mungitura.
Avendo per notato lassenza di Nestore si era precipitato verso lo stazzo immaginando che avrebbe tentato di raggiungere il gregge.
Non si era sbagliato, ma lo scenario che si trovi di fronte era fuori da ogni sua immaginazione.
Trovi nuovamente Nestore con il muso insanguinato e pieno di ferite ma ancor peggio Gaspare e i due scattoni, fratelli di Mascioni morti stecchiti.
Potevano essere scesi i lupi fino gi a valle ed avere compiuto un tale scempio? - Le pecore erano tranquille, non ve nera neanche una sgozzata o ferita e ad occhio non sembrava ne mancassero.
No, - no di tutto questo.
Quanta amarezza e disperazione dovevano avere invaso la mente ed il cuore ferito di Nestore in tutti quei mesi. Si era fatto giustizia. Si era ripreso il suo posto eliminando definitivamente quei vigliacchi traditori lasciando salvi le femmine ed i cacciunitti.
Antonio, fino al termine dei suoi ultimi giorni , quando arrivava alla fine del suo racconto, che non si stancava mai di narrare agli ignari, non riusciva a trattenere le lacrime dalla commozione.
Nestore era ormai morto da molti anni ma rimasto vivo nella memoria di Antonio, della sua famiglia e di tanti altri che l'avevano conosciuto.
Purtroppo nessuno dei suoi figli( fu padre di altre due cucciolate) mostr tanta audacia ma forse qualche nipote o pronipote potrebbe avere ripreso da lui e chi sa che un giorno non sentiremo parlare di qualche gesto eroico di un cane da pecora le cui origini si dice siano di Cascina.


Dal sito canidapecora.it

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lorenzo lazzeri
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Re: Lupi, pecore e cani

Messaggio da lorenzo lazzeri » 22 gen 2013, 21:18

Storie molto belle...:)


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