l' amore dalle ali bianche e nere
Inviato: 11 dic 2010, 19:13
leggendo i vostri bellissimi " sogni" in prosa voglio raccontarvi una storia , è una storia scritta tanti anni fa, la storia di un giovane ragazzo e una gazza :
A LISA:
Correva la primavera nell' anno 89....., i colori rinascevasno dalla brulla terra, sfavillanti,
come diamanti escono dalle viscere di una miniera. La luce vi si rifletteva, guizzando e luccicando ,da goccia a goccia, sui verdi prati, sulle prime ali di una farfalla, su un fiore.
IL vento portava sù dalla vallata i primi profumi, su quel fresco, nuovo, di primavera, portando anche i primi canti degli uccelli. Alcuni di essi avevano cominciato a costruire il nido. Così anche la solita gazza, che d' inverno compie razzie nel granaio, eccola fare il nido sui rami più alti dai tre pini. Ed è propio lì, forse per punire le razzie della gazza, che un giorno salii , e presi due "cuccioli" ancora implumi. Li allevai nella stalla, e lì crebbero forti, con quella scaltrezza che hanno tutte le gazze. Da adulte cominciarono a fare le prime uscite, giocavano col cavallo, colle quaglie, con gli uccelli della gabbia, curiosando su ogni oggetto che vi era.
Nel frattempo la primavera aveva lasciato il posto all' estate. IL venticello fresco che odorava di "nuovo", aveva lasciato il posto a giornate calde e afose, i colori brillanti erano divenuti più opachi, sotto una luce intensa, quasi aggressiva. IL lavoro aumentava col germogliar degli alberi, e ormai le gazze erano grandi, e si allontanavano sempre di più, spingendosi fino giù, nel bosco. Una sera, una di esse non fece più ritorno a casa. Quella che rimanne, mia mamma la battezzò LISA, e continuava a girare quà e là, inselvatichendosi sempre di più, fino a non lasciarsi più prendere in mano. Trascorreva quasi tutto il suo tempo nel bosco,
con le altre gazze. (Beata lei, pensavo io, mentre lavoravo sotto il sole cocente nei filari, e la vedevo all' ombra e al fresco ,nel bosco.) Solo più al cavallo dava confidenza,andando tutti i giorni a trovarlo, mentre lui era al pascolo,dietro casa, e si faceva portare "correndogli" sulla schiena.(Chi ha mai detto che solo gli uomini vanno a cavallo?). Poi venne l' autunno, carico di frutta, e di festa, i colori ritornarono, non meno sgargianti che a primavera. La luce si era fatta più fioca, ma con le albe e i tramonti accesi, come un cuore innamorato. I canti cessarono, e nel cielo cominciarono le prime partenze, i primi lunghi voli. Su per i rossi pampini, per le colline, fremevano i preparativi per la vendemmia, come una febbre collettiva, che si diffonde a macchia d' olio. Ormai lisa non veniva nemmeno più a consumare il suo pasto, di pane e latte, nella stalla. Si era inselvatichita, ubbidendo al più forte richiamo della natura. Ma i bei giorni passarono, l' inverno venne a bussare alle porte dell' autunno , i giorni si fecero freddi e corti, nel cielo non vi erano più nè voli e nè canti,la pace e la frescura del bosco estivo, si era trasformata in gelo e desolazione.
Tra i rami spogli, la vita sembrava sparita. Ed ecco che un bel giorno, mentre pranzavamo accanto al focolare ,qualcuno bussò alla finestra e la rividi, era lisa che come il "figliol prodigo "era tornata col capo chino, come chi si vuol far perdonare, di esser fuggito di casa,
con quegli occhioni neri, quasi imploranti, la feci entrare. Da allora e per due mesi, essa fu parte della famiglia: arrivava puntuale a pranzo e a cena, si intratteneva con noi a tarda sera, sempre curiosando, sempre guardando se c' era qualcosa di nuovo in casa, cosa bolleva in pentola, controllando accuratamente (a volte sin troppo) le posate. Di giorno si interessava al lavoro, e ci seguiva , come un cagnolino, schiamazzando quando non gli si dava ascolto, o la si contrariava. Alla sera un ripostiglio sotto il portico era il suo riparo. Era poi anche diventata amica di tutta la borgata, e andava a trovare i vicini in casa, appena vedeva una porta o una finestra aperta. Ma i bei giorni passarono, iniziò la caccia, e nonostante non si allontanosse più dalla casa, un giorno arrivò , battendo la finestra col bianco petto macchiato di un rosso sangue, gli occhi erano velati, una voce rauca uscì dal suo becco, come una richiesta di aiuto. La presi, la accarezzai dolcemente, i miei occhi si fermarono sui suoi occhi , imploranti, le diedi del latte, poi presi il panno morbido e la cassetta ove l' avevo allevata, e la misi nella stalla, al caldo. Non sopravvisse. Morì lì ove era nata, in quella cassetta, in quel luogo dove l' avevo allevata due stagioni prima, e dove le avevo insegnato forse, ad amare una "specie" che ancora non merita amore.
A LISA:
Correva la primavera nell' anno 89....., i colori rinascevasno dalla brulla terra, sfavillanti,
come diamanti escono dalle viscere di una miniera. La luce vi si rifletteva, guizzando e luccicando ,da goccia a goccia, sui verdi prati, sulle prime ali di una farfalla, su un fiore.
IL vento portava sù dalla vallata i primi profumi, su quel fresco, nuovo, di primavera, portando anche i primi canti degli uccelli. Alcuni di essi avevano cominciato a costruire il nido. Così anche la solita gazza, che d' inverno compie razzie nel granaio, eccola fare il nido sui rami più alti dai tre pini. Ed è propio lì, forse per punire le razzie della gazza, che un giorno salii , e presi due "cuccioli" ancora implumi. Li allevai nella stalla, e lì crebbero forti, con quella scaltrezza che hanno tutte le gazze. Da adulte cominciarono a fare le prime uscite, giocavano col cavallo, colle quaglie, con gli uccelli della gabbia, curiosando su ogni oggetto che vi era.
Nel frattempo la primavera aveva lasciato il posto all' estate. IL venticello fresco che odorava di "nuovo", aveva lasciato il posto a giornate calde e afose, i colori brillanti erano divenuti più opachi, sotto una luce intensa, quasi aggressiva. IL lavoro aumentava col germogliar degli alberi, e ormai le gazze erano grandi, e si allontanavano sempre di più, spingendosi fino giù, nel bosco. Una sera, una di esse non fece più ritorno a casa. Quella che rimanne, mia mamma la battezzò LISA, e continuava a girare quà e là, inselvatichendosi sempre di più, fino a non lasciarsi più prendere in mano. Trascorreva quasi tutto il suo tempo nel bosco,
con le altre gazze. (Beata lei, pensavo io, mentre lavoravo sotto il sole cocente nei filari, e la vedevo all' ombra e al fresco ,nel bosco.) Solo più al cavallo dava confidenza,andando tutti i giorni a trovarlo, mentre lui era al pascolo,dietro casa, e si faceva portare "correndogli" sulla schiena.(Chi ha mai detto che solo gli uomini vanno a cavallo?). Poi venne l' autunno, carico di frutta, e di festa, i colori ritornarono, non meno sgargianti che a primavera. La luce si era fatta più fioca, ma con le albe e i tramonti accesi, come un cuore innamorato. I canti cessarono, e nel cielo cominciarono le prime partenze, i primi lunghi voli. Su per i rossi pampini, per le colline, fremevano i preparativi per la vendemmia, come una febbre collettiva, che si diffonde a macchia d' olio. Ormai lisa non veniva nemmeno più a consumare il suo pasto, di pane e latte, nella stalla. Si era inselvatichita, ubbidendo al più forte richiamo della natura. Ma i bei giorni passarono, l' inverno venne a bussare alle porte dell' autunno , i giorni si fecero freddi e corti, nel cielo non vi erano più nè voli e nè canti,la pace e la frescura del bosco estivo, si era trasformata in gelo e desolazione.
Tra i rami spogli, la vita sembrava sparita. Ed ecco che un bel giorno, mentre pranzavamo accanto al focolare ,qualcuno bussò alla finestra e la rividi, era lisa che come il "figliol prodigo "era tornata col capo chino, come chi si vuol far perdonare, di esser fuggito di casa,
con quegli occhioni neri, quasi imploranti, la feci entrare. Da allora e per due mesi, essa fu parte della famiglia: arrivava puntuale a pranzo e a cena, si intratteneva con noi a tarda sera, sempre curiosando, sempre guardando se c' era qualcosa di nuovo in casa, cosa bolleva in pentola, controllando accuratamente (a volte sin troppo) le posate. Di giorno si interessava al lavoro, e ci seguiva , come un cagnolino, schiamazzando quando non gli si dava ascolto, o la si contrariava. Alla sera un ripostiglio sotto il portico era il suo riparo. Era poi anche diventata amica di tutta la borgata, e andava a trovare i vicini in casa, appena vedeva una porta o una finestra aperta. Ma i bei giorni passarono, iniziò la caccia, e nonostante non si allontanosse più dalla casa, un giorno arrivò , battendo la finestra col bianco petto macchiato di un rosso sangue, gli occhi erano velati, una voce rauca uscì dal suo becco, come una richiesta di aiuto. La presi, la accarezzai dolcemente, i miei occhi si fermarono sui suoi occhi , imploranti, le diedi del latte, poi presi il panno morbido e la cassetta ove l' avevo allevata, e la misi nella stalla, al caldo. Non sopravvisse. Morì lì ove era nata, in quella cassetta, in quel luogo dove l' avevo allevata due stagioni prima, e dove le avevo insegnato forse, ad amare una "specie" che ancora non merita amore.